domenica 13 maggio 2007

Il piacere di bere e mangiare

La critica gastronomica, spesso, si ferma al palato, alla bocca. Il piacere si arresta al sapore sulla lingua, sul palato, come se l’uomo che mangia fosse solo una grande bocca, che mastica, produce saliva e inghiotte. Ma cosa succede a quel cibo, a quei sapori quando scivolano giù per l’esofago, sostano nello stomaco, si lasciano assorbire, trasformati, nell’intestino? Il racconto del cibo ha paura del piacere del cibo. Il gusto non si esaurisce nella bocca, ma si allarga potente, appagante nell’uomo fatto di un corpo e di una mente.
In una cultura spaventata dalla forza del desiderio e del piacere il cibo è stato censurato, avvilito, mortificato. Quando si parla di vino si parla di polialcoli, tannini, acidi, intensità, persistenza, ma si omette la dimensione dionisiaca, l’effetto corporeo, quel benessere che abbraccia il corpo e la mente. L’ebbrezza è una porta improvvisa che si apre su una diversa sensibilità, amplificando la percezione di sé nel mondo, di sé stessi e dell’altro che si ha vicino.
Si descrivono vini e ricette ma si dimentica l’uomo che beve e che mangia. Il piacere di mangiare porta a vivere il piacere del qui e ora, il piacere di un presente che si è educato sui piaceri del passato e che si allunga sui piaceri del futuro.
Si descrive senza raccontare l’esperienza vissuta. Forse è il pudore di mostrare agli altri il proprio godimento che rende così frigida la riflessione sul cibo. Sul goloso pende la condanna eterna di vizioso. La ricerca dell’eterno svincolato dalla terrena pesantezza del corpo ha svilito il valore di questa vita e di questo corpo. Il piacere sano può realizzarsi solo nel rispetto dell’altro.

mercoledì 9 maggio 2007

al volo

uffa... in questi giorni sono sempre di corsa! poco tempo in cucina e niente tempo per scrivere! però ieri sera ho provato un buon abbinamento di fave fresche e gamberi per condire la pasta e una spigola alla borgognona, cotta in pinot nero, con funghi champignon e scalogno, veramente slurp!!!
e si riparte con il lavoro... :-)))

giovedì 3 maggio 2007

Sto rileggendo "Il ghiottone errante. Viaggio gastronomico attraverso l’Italia" di Paolo Monelli. Il libro esce nel 1935, a Milano. Monelli è un giornalista e per incarico della “Gazzetta del popolo” si mette in viaggio in compagnia dell’amico Giuseppe Novello, pittore e vignettista, autore delle divertenti illustrazioni che accompagnano il testo. I due percorrono l’Italia da nord a sud. Ci mettono tutta l’estate. Partono da Barbaresco a giugno e approdano in settembre a Montecatini "dove vanno quelli che hanno fatto passare per lo stomaco e per i reni troppi stravizi". !!!
I resoconti delle tante mangiate e bevute sono raccontati con leggerezza, ironia garbata e intelligenza. Ogni tappa è segnata dal mondo che si muove intorno a quella tavola: una galleria godibilissima di osti e ostesse, di tante pietanze diverse, di decine di vini, e anche di accadimenti, di paesaggi e luoghi percorsi. Ogni luogo ha i suoi cibi e i suoi vini. E’ bella, ingenua e saggia insieme, questa Italia fatta di tanti prodotti locali, di abbinamenti nati dal territorio e dalla tradizione stratificata nel tempo, dal lungo parlarsi tra uomini e terra. A Barolo, Monelli scrive:
“… il tartufo bianco, misterioso annunciatore di un mondo in chissà quale remota galassia ove vivono esseri che non hanno altri sensi che il gusto e l’odorato […] lasciatemi ricordare l’insalata di tartufi, bianco dei tuberi e grigio della salsa in aristocratica semplicità; e i tartufi galleggianti sulla fonduta, od occhieggianti pallidi sulla scura polenta di gran saraceno; e i tartufi in bagna cauda, che è, lo sapete tutti, un’amalgama di olio e burro e acciughe e odor d’aglio. E vi si aggiunge pepe e sugo di vitello, e ci si beve sopra vigorosa barbera: il vino che vuole palati robusti, non guasti da beveroni forestieri; il fante dei vini piemontesi, pistapauta e scaccianebbie, serio, battagliero, tutto vino, nel colore, nelle macchie che fa sui lini, nell’odore che dà al fiato.” Non è fantastico?
Chiudo con le parole di Monelli che descrive Novello e un altro amico a Parigi, appena usciti da un ristorante ubriachi: “Avevate tutti e due gli occhi danzanti, il sorriso immobile, i gesti pieni d’aria…” E’ la più bella descrizione di quello stato di beatitudine e goffagine felice che si vive quando ci si ubriaca bene.



Robi è appena arrivato con un prosciutto di Praga fatto con Pata negra e pane caldo…
svengo :-)))))))
Ieri sera il concerto spettacolo degli Acquaragia Drom all'Auditorium è stato fantastico. La cena dopo al Tiepolo un disastro. La mortificazione dei sensi :-(( Che intrugli disgustosi con creme di formaggi non meglio identificati, semplici verdure al cartoccio sommerse da olio e spezie... le due ragazze che si occupavano della sala, in cambio, erano proprio gentili. E Il conto senza pretese :-)

martedì 1 maggio 2007

Venerdì, nel pomeriggio, mi chiama Robi e mi dice: “… Ho comprato un bel trancio di salmone freschissimo e degli scampi… invitiamo degli amichetti????”
E così il resto del pomeriggio è stato costellato di idee sul menu della cena per arrivare a incaponirmi sulla tartare di salmone. Fino a quel momento l’avevo solo vista preparare da Leòn, maestro impareggiabile anche di arte culinaria. Arrivo a casa e trovo la prima sorpresa: ostriche!!! Robi, grande Robi, tesoro mio, mi aveva preso delle ostriche! Aperte in un lampo, sciacquate sotto l’acqua e gnam. Squisite, saporitissime, sode, tutto il profumo buono del mare addosso, dentro, dentro il cervello… e poi tenace quel sapore aggrappato nella bocca e nel naso a non mollare la presa. Anche Robi, che va ancora cauto con il crudo, aveva la faccia estasiata. Sempre troppo poche, le ostriche ;-)
Beh, comunque l’invitato per la cena era Roberto, sì una cena con due Roberti: il mio Roberto e l’amico Roberto.

Tiro fuori il mio quaderno degli appunti, trovo la ricetta della tartare e mi metto all’opera. Il ghiaccio è pronto nel frizer. Lavo con il bicarbonato il tagliere di legno. Trito della cipollina bianca fresca, finissima, la salo appena un pizzico, la bagno con 3 gocce di limone e la stendo sul tagliere in uno strato sottilissimo.
Mentre la cipolla si ossida (da un minimo di 15 minuti a 2 ore) spello il grande trancio di salmone e separo il filetto centrale dalle parti laterali più grasse. Taglio i filetti a cubotti, le fibre mi guidano nel taglio alla cinese, la carne ora diventerà tenerissima. Passo a tritare i pezzi di salmone in punta di coltello, come se fosse una mezzaluna. Stendo il pesce sulla cipolla oramai pronta e li lascio lì, a conoscersi, per 15 minuti (fino a 2 ore). Lo strato di salmone è 3 volte lo strato di cipolla.

Nel frattempo è arrivato Roberto, l’amico invitato. Gli racconto in due parole cosa sto preparando. “Non sarà mica la prima volta che la fai, vero?” Mi interroga, ridendo. E invece sì, mio caro amico… Mi sale un po’ di agitazione. Le ricette andrebbero sempre provate almeno tre volte prima di proporle… Metto su l’acqua per la pasta. Se la tartare farà schifo, cercherò di tamponare con la pasta agli scampi e pachino.

Trito il ghiaccio e lo metto in una ciotola di vetro. Inserisco una seconda ciotola più piccola così le pareti sono a contatto con il ghiaccio. Verso salmone e cipolla e li condisco con una spolverata di pepe bianco, un pizzico di sale, un goccio di shoyu, una presa di prezzemolo tritato e battuto e qualche goccia di limone. Mescolo e appoggio l’impasto sulle pareti perché il ghiaccio cuocia il pesce. Per 4/5 volte rimescolo per 2 minuti e lascio riposare per altri 2 minuti.
La tartare è pronta!!! I Roberti hanno seguito, curiosi, le ultime operazioni. Il profumo mi sembra giusto. Sistemo un paio di cucchiaiate al centro dei tre piatti. Intorno, a guarnizione, del prezzemolo tritato e una spolveratina di pepe bianco. Siccome non so quanto i miei ospiti amino fino in fondo il crudo, aggiungo pochissime gocce di limone e di olio, sempre intorno. Vai che si mangia!!!

Che buonissima!!! Anche a Robi e a Roberto è piaciuta moltissimo. Hanno solo aggiunto un pizzico di sale. Hanno fatto il bis!!! La prossima volta metto solo un po’ meno cipolla o più salmone! La carne era tenerissima, i condimenti equilibrati, arrivava dritta al cervello e ti metteva il sorriso.

P.S. Per amor di cronaca la cena è proseguita con pasta agli scampi e pachino e il salmone avanzato tagliato a pezzi e scottato in padella con olio, una presa di cipolla tritatissima, delle fettine di zenzero, un pizzico di sale e un goccio di shoyu aggiunto alla fine. Il tutto bevendo della birra chiara Menabrea. In gran finale, del gelato alla frutta portato da Roberto.