lunedì 27 ottobre 2008

il ragazzino della finestra di fronte

C'è un palazzo di fronte casa mia. E una finestra di fronte alla cucina. La sera, quando torno dal lavoro, quella finestra è illuminata, quasi sempre. E' la stanza di un ragazzino. Stiamo crescendo insieme. Quando siamo venuti a vivere qui era piccolo, aveva pochi anni. A volte lo sentivo lamentarsi. Non so dare un nome alla sua malattia. Crisi tremende seguivano a lunghi momenti di gioco, palle rimbalzare in aria, salti sul letto, silenzi tranquilli. La sua felicità mi è sempre stata a cuore. A volte vedo il padre prendersi cura dei fiori che colorano il grande terrazzo che sta lì, proprio accanto alla finestra. Calle bianche, ortensie rosa, rose rosse. Si muove con gentilezza, delicato e attento. La madre l'ho solo intravista, la voce è chiara, le parole concrete. A volte la sera, quando mi metto a preparare la cena, vedo quell'ombra che si è allungata sotto i miei occhi dietro i vetri della finestra. Rimane neanche un minuto, ferma. Poi si allontana, spesso scompare, raramente ritorna. Mi piace pensare che, guardandomi spentolare felice, si stia un po' incuriosendo di cucina.

domenica 26 ottobre 2008

la crostata senza niente



Sì, voglio dire una crostata senza uova, burro, zucchero... beh ma allora che crostata è??? Forse sarebbe meglio chiamarla, che ne so, pasta dolce con marmellata... tanto per non creare aspettative! Però l'idea di crostata io ce l'avevo in testa quando ho preparato questo svago senza nulla. Così, seppure remota e vaghissima, l'eredità c'è. Ogni tanto, quando mi arrivano alcune avvisaglie, per qualche giorno seguo un'alimentazione molto semplice, pulita: riso (spesso semintegrale), pasta integrale, verdure cotte e crude, pesce, molta acqua e niente carne, formaggi, zucchero, soffritti, burri... Mi bastano pochi giorni e tutto si risistema. Credo, per averlo sperimentato su me stessa, che il cibo che mangiamo possa diventare farmaco e fonte di benessere e salute. Ma questo è un altro discorso :-)

Beh, in questa ricetta ci sono un paio di ingredienti non proprio comuni. Però negli ultimi anni sono diventati più famosi e anche più reperibili: il latte di riso e il malto di riso. Si trovano facilmente nei negozi di alimentazione naturale (tipo Naturasì) e nelle erboristerie.

La preparazione prevede:

200 g di farina tipo 0
50 g di farina di mandorle
60 g di margarina vegetale (ho usato Prima della Rapunzel)
150 g di malto di riso
130 g di latte di riso
2 cucchiaini di cremor tartaro
1 pizzico di sale
1 pizzico di cannella
1 limone biologico, la buccia grattugiata
1 vasetto di marmellata di albicocche senza zucchero

Mescolare le due farine assieme al cremor tartaro, il sale, la cannella, la buccia di limone, Aggiungere il malto e il latte già ben mescolati tra loro e poi la margarina morbida (basta lasciarla fuori dal frigo per una mezz'oretta). Amalgamare tutto per bene. Versare l'impasto in uno stampo (unto e infarinato oppure ricoperto di carta forno), livellare e stendere sopra la marmellata lasciando libero un bordo di un paio di centimetri. Mettere in forno già caldo e lasciare per 40 minuti a 180°.

mercoledì 22 ottobre 2008

improvvisazione sull'arancio


Mi è arrivata a casa una mezza zucca assieme alla voglia di fare gli gnocchi e condirli con burro, salvia e una montagna di parmigiano. Ho improvvisato. Così ho cotto la zucca al forno all'ora di pranzo in compagnia di un bel rametto di rosmarino. La sera, tornata dal lavoro, l'ho ridotta in purè schiacciandola prima con la forchetta e poi con le mani pulite di acqua e sapone di marsiglia. Condita con sale, un cincinnino di noce moscata e una presa di salvia secca. E poi tanta farina fino a rendere l'impasto trasformabile in tanti gnocchetti. Mentre l'acqua si preparava a bollire, ho sciolto a fuoco basso bassissimo il burro assieme al verde argentato della salvia. Appena venuti a galla, ho scolato i cilindretti di zucca e conditi con il burro insalviato e l'abbondanza di parmigiano grattugiato. 
Solo un dispiacere... erano pochi.

domenica 19 ottobre 2008

sarà ribollita...


Beh... l'amore per il cibo è iniziato parecchio tempo fa, tanto da farmi regalare per un Natale ormai confuso nella notte dei tempi il famigerato Dolce Forno... Da allora ho attraversato diverse fasi alimentari: prima vegetariana, poi macrobiotica, poi salutistica, poi chissenefrega, poi gourmet, poi forse, l'ultima, la più equilibrata che non saprei definire e che segue l'umore, la passione, le stagioni, gli acciacchi e le spese di Roberto. A cavallo tra la prima e la seconda fase risale l'acquisto di uno dei miei primi libri di cucina, "Il cucchiaio verde". E' un ricettario di cucina vegetariana con tante idee valide, semplici e gustose. Da questo libro ho ripreso la preparazione della Ribollita che ho preparato domenica sera. Ho apportato alcune modifiche negli ingredienti e improvvisato sulla preparazione perché a dirla tutta, nel Cucchiaio, è spiegata in modo molto molto approssimativo.
Allora ci vogliono:

una decina di foglie di cavolo nero belle grandi
2 patate medie
2 coste di sedano
2 cipolle piccolette (o 1 grandicella...)
1 barattolo di fagioli cannellini già lessati
1 pizzico di peperoncino secco
sale
olio extravergine d'oliva
1 spicchio d'aglio e una bella manciata di prezzemolo
acqua calda

Scaldare un paio di cucchiai di olio in una pentola capiente, aggiungere il pizzico di peperoncino e la cipolla tagliata a fettine sottili. Lasciar ammorbidire a fuoco dolce per un paio di minuti e poi aggiungere le verdure tagliate a tocchetti. Mescolarle bene e poi coprirle a filo con acqua calda. Quando si alza il bollore, salare, regolare la fiamma sul bassino e socchiudere con un coperchio. Dopo una mezz'ora aggiungere metà vasetto di fagioli sciacquati, frullare, aggiungere l'altra metà di legumi, rimettere sul fuoco per altri 5-10 minuti. Nel frattempo tritare fine fine lo spicchio d'aglio privato dell'anima e il prezzemolo. Spegnere il fuoco, aggiungere il trito e un paio di cucchiai di olio, coprire e lasciar riposare per 5 minuti.
Servire la zuppa con delle fette di pane tostato o dei crostini.
Qui, domenica sera, ce la siamo slurpata tutta... non ne è rimasta neanche una fotina :-))) 


sabato 18 ottobre 2008

Susanna, lo zucchero e un imprevisto norvegese


Susanna, mia sorella, ha sempre snobbato il cucinare. Nel mangiare non si è mai tirata indietro. Potrei addirittura definirla una buona forchetta, ma fornelli, ricette, prova questo, prova quello, proprio non l’hanno mai interessata. Una gran golosa però sì, questo posso affermarlo con sicurezza. C’è stato un periodo, tanti anni fa, che mi aveva contagiato con l’amore per lo zucchero. Mi ricordo cene estive con mezzi chili di gelato a testa. Mi portava in pellegrinaggio in tutte le migliori pasticcerie e gelaterie di Roma. Aspettavamo come due assetate nel deserto che Antonini inaugurasse, come ogni estate, il bancone del gelato. Fragola crema e panna. Doppia panna nocciola e cioccolato. Ogni giorno, nei mesi caldi, nuotavamo nelle refrigeranti onde di dolci e voluttuose creme, mai sazie. D’inverno invece, mi portava a bere la cioccolata calda con panna. Io, la sorella piccola, le scorrazzavo dietro tutta scodinzolante. Quelle cioccolate calde profumavano di tutta la complicità che ci univa. Erano le più buone del mondo. 
Susanna mi ha fatto amare lo zucchero nelle sue più svariate forme e combinazioni. Io preferisco il salato, come intima, personalissima inclinazione. Ma per il dolce ho un debole che nasce dall’influenza di mia sorella. Ogni volta che assaggio un dolce speciale, di quelli da capogiro, da sospiro, da smarrimento, vorrei che lei fosse lì con me. 
Susanna, dunque, è una esperta mondiale di zucchero, ma la sua cucina quotidiana è sobria, essenziale, spartana. Da vent’anni è vegetariana, senza tentennamenti. Mangia cereali, verdure, legumi, frutta, qualche formaggio e sicuramente dolci. Non le piace soffermarsi sui fornelli: per lei il cucinare è un atto dovuto di sopravvivenza. E il dolce è la sua stella polare.

Ora, è successo che mia sorella, golosa vegetariana rigorosa, sempre distratta dalle questioni di cucina, sia andata qualche giorno in Norvegia per la comunione del nipote. Lì è accaduto l’inimmaginabile. Primo: l’hanno messa in cucina a cucinare. Secondo: lei ha accettato. Terzo: ha riscosso un successo trionfale. Come i più grandi, è riuscita nella ricetta solo apparentemente più semplice, nel banco di prova di tutti i cuochi: un piatto di spaghetti al pomodoro. Tutta la sua esperienza personale, tutte le famosissime spaghettate agliooliopomodoro di nostro padre, tutte le disquisizioni alimentari ascoltate con mezzo orecchio sbadato durante i pranzi/cene familiari, si sono distillati in quell’intreccio delizioso di pasta e sugo. La parentela norvegese si è lasciata travolgere dall’onda succulenta, colorata di rosso e profumata d’aglio. Tutti hanno chiesto il bis. I bei nipoti magri magri e lunghi lunghi il tris. La tavolata vibrava, eccitata nel gusto e sedotta nel cuore. Susanna, incredula, godeva assieme ai suoi vichinghi biondi e gentili che masticavano felici i suoi spaghetti. 

Rideva mentre mi raccontava per telefono l’accaduto, quell’esito imprevisto, quell’inaugurazione all’essere cuoca apprezzata, quella soddisfazione bella di condividere il cibo preparato. Era come se, per la prima volta, fosse approdata al piacere del cucinare. Era contenta, divertita, ciarliera: mai sentito mia sorella dedicare tante parole appassionate all’argomento cibo. E io dall’altra parte della cornetta, a più di duemila chilometri di distanza, me la sono gustata tutta questa sorella cuciniera, profumata di sale e colorata di fuoco. 

Povero zucchero, che gran colpo…

giovedì 16 ottobre 2008

vellutata di carote al coriandolo

L'abbinamento carote+coriandolo l'ho provato la prima volta al ristorante della Città dell'Altra Economia di Roma. Il luogo ha un passato forte. Si tratta del vecchio mattatoio della città. Per tanti anni è stato uno spazio chiuso e abbandonato. A farla breve, la struttura è stata restaurata ed ora è interamente dedicata all'economia ecologicamente sostenibile, equa e solidale. Un consorzio di produttori agricoli laziali gestisce un punto vendita di prodotti biologici freschi e trasformati, un bar e un ristorante. Ogni tanto ci vado a fare la spesa, ogni tanto ci si va a cena con gli amici. Spazi grandi, vecchie strutture in ferro, pareti di vetro, arredamento essenziale, quasi ridotto all'osso, atmosfera altamente informale. Insomma, una sera come antipasto ci hanno portato delle bruschette con una cremina di carote e coriandolo che mi è piaciuta molto. Così l'altra sera ho ripreso l'idea e l'ho un po' adattata. Eccola qua:

300 g di carote
200 g di patate
2 spicchi d'aglio lasciati interi
2 piccoli peperoncini (come al solito la presenza del piccante è scelta personalissima :-)
2 cucchiaini di semi di coriandolo pestato
olio extravergine d'oliva
sale marino
yogurt bianco
acqua calda q.b.

Si scalda a fuoco basso 1 cucchiaio di olio. Quando è caldino si mettono i 2 spicchi di aglio, il peperoncino e il coriandolo pestato. Si lascia scaldare un attimo e poi si aggiungono le carote e le patate tagliate a tocchetti. Si mescola bene, si aggiunge tanta acqua calda fino a coprire a filo le verdure e si alza un po' il fuoco. Quando sale il bollore, si sala, si copre senza chiudere completamente e si abbassa la fiamma. Si lascia bollire a fuoco basso per 20-30 minuti, Quando le verdure sono morbide, si spegne, si frulla e si lascia intiepidire per qualche minuto (io ho lasciato una parte delle verdure a tocchetti perchè Erre si diverte a trovare quei pezzetti vagabondi...). Ogni porzione si condisce con un paio di cucchiai di yogurt e un filo d'olio buono. Per non farsi mancare neanche il piacere del croccante si potrebbe accompagnare la passatina con dei crostini di pane (faccio rosolare il pane tagliato a dadini in una padella dove ho fatto scaldare un paio di cucchiai di olio e del rosmarino.

mercoledì 15 ottobre 2008

Io??? ma siete sicuri???

Stasera sono tornata a casa sul tardi. Robi non era ancora arrivato. Sapevo bene che OGGI era PROPRIO QUEL GIORNO. Ho messo su una zuppetta di carote e coriandolo. Insomma ho traccheggiato un po' prima di dirmi "Dai, andiamo a vedere se ci sono già i vincitori...". Ho acceso il computer e sempre per rimandare un po' il momento della verità sono andata prima a controllare la posta. Un colpo: una mail targata Sigrid+Cavoletto. L'ho aperta, l'ho letta. Ho capito confusamente che era il caso di andare a dare un'occhiata sul sito di Cavoletto. E ho visto lì il mio nome accanto all'1. Una baraonda. Le lacrime agli occhi. Lo stomaco in gola. La felicità sparata in tutte le direzioni. "Mamma, non ci posso credere... [la voce strozzata] ho vinto il primo premio... ti ricordi??? ...il tuo budino!!! mamma, il tuo budino ha vinto!!!". Poi squilla il telefono. E' Robi. "Amore... il concorso di Cavoletto... incredibile... quel coso rosso... l'ho vinto!!!". Un'eccitazione, una contentezza fitta sotto la pelle, dentro la testa e il cuore. L'ho proprio desiderato tanto il fantascientifico coso rosso... e mi pare ancora incredibile che tra un po' sarà qui in casa con noi... Sono felice.

Vorrei ringraziare pubblicamente e di cuore la favolosa Sigrid per questo primo posto che mi onora e, assieme a lei, la prestigiosa giuria tutta. Vorrei complimentarmi con le altre vincitrici per la poesia tenera e intensa delle loro storie. Vorrei ringraziare tutti per avermi permesso di conoscere un pezzetto tanto intimo della loro vita. Grazie

E ora a nanna, sognando rosso...

martedì 7 ottobre 2008

astice alla catalana


L'astice alla catalana l'ho mangiato una volta diversi anni fa. Pare una vita. Se n'era poi parlato tanto, con alcuni amici. Era uno dei piatti del desiderio. Poi l'ho dimenticato. 
L'altro giorno Robi è tornato a casa da una delle sue scorribande al mercato Trionfale con il bottino. Forse aveva pensato a un piatto di pasta. Ma a me è venuta su la memoria della Catalana come una bolla d'aria. E' una ricetta semplice, pochi ingredienti, pochi condimenti, forte, schietta, rude per certi versi e sublime. C'è il mare con una delle sue più pregiate creature e poi la terra quotidiana e umile delle cipolle, delle patate e dei pomodori. E poi c'è la scelta discreta e attenta della cottura e dei condimenti: sale, olio d'oliva, qualche goccia di limone, poco poco aceto speziato.


La cottura dell'astice richiede solo un po' di sangue freddo e di calarsi nei panni di un pescatore affamato. Si riempie una bella pentola d'acqua, si mette sul fuoco e quando bolle s'immerge l'astice vivo. In pochi minuti il carapace diventerà di un bel rossoarancio acceso. Si fa bollire 25 minuti per Kg. Poi si spegne, si lascia ancora per qualche minuto nell'acqua e si toglie. La parte più buona è la polpa delle chele, morbida, sapida, con echi profondi di mare.

Un'astice da 800 g
1 cipolla di Tropea affettata cruda
2 patate grandi a pasta gialla tagliate a tocchi e cotte a vapore
10-15 pomodorini tagliati a metà
sale
olio extravergine d'oliva
limone
aceto speziato

tonno crudo, menta e altre erbette


Ecco un'altra ricettina imparata da Andrea! L'ha preparata per noi della cucina dopo il tour de force del famoso matrimonio israelo-svedese. Eravamo cotti di stanchezza, il brunch domenicale di chiusura dei festeggiamenti volgeva al termine e noi in cucina si cominciava a rallentare il ritmo. Mentre si iniziava a riordinare, Andrea ha preso a trafficare misterioso tra frigo e orto. Affetta, trita, un pizzico di questo, un'idea di quest'altro e ti arriva con una montagnola di tonno crudo condito, pane tostato e birra di frumento ghiacciata. Ci siamo seduti fuori dalla cucina, con il sole addosso. Al primo morso mi sono sciolta, un'emozione, un benessere dentro, un'altra forchettata e ancora una... tutta la stanchezza è svanita e io mi sono trovata felice a masticare, sorridere beata, mandare giù sorsate di birra fredda e dissetante tutta la sete che avevo. E anche questa, come già la lasagnetta, è entrata a far parte dei miei piatti preferiti. La preparazione l'ho ricostruita sulla base del ricordo, ricercando quella sensazione di morbido/aromatico/dolcementesapido/pungente/piccante/nevoglioancora che ho gustato quella tarda mattinata di settembre.

Allora, passando alle cose serie, ci vogliono:
Un bel pezzettone di filetto di tonno freschissimo (dire al pescivendolo che lo si vuole mangiare crudo!!!). Questa volta saranno stati circa 250-300 gr (sono sempre pochi :-)))
menta, 8-10 foglioline
paprika, la punta di un cucchiaino
peperoncino fresco, dipende da quanto è piccante... A me piace che si senta senza che diventi invasivo (insomma come la prima volta che l'ha preparato Andrea :-)
erba cipollina, 2-3 filettini
sale
limone
salsa di soia (tipo shoyu)
olio extravergine d'oliva

Si affetta il filetto di tonno e poi si trita al coltello. Si condisce con la menta tritata, il peperoncino e l'erba cipollina tagliati a rondelline sottili e la paprika, un giro d'olio, un pizzico di sale, qualche goccia di limone e shoyu. Nell'insieme il sapore del tonno non è coperto da nulla e valorizzato da tutto. Ovviamente a gusto si può aggiungere un po' più di limone e sale (soprattutto per chi si sta avvicinando al mondo del pesce crudo) e fare un giretto più abbondante di olio.
Una volta mescolato per bene si fa una bella cupoletta tonda/quadrata/irregolare/comemipare e si mangia! 
Qui a casa ci piace molto mangiarlo prima di tutto, insomma come antipasto...

lunedì 6 ottobre 2008

che ci faccio con due cespi di lattuga???

Quando vai al mercato di sabato all'ora di pranzo possono accadere fatti particolari. Ad esempio ti ritrovi con due lattughe comprate e quattro regalate! E' quello che è capitato a mia madre qualche giorno fa. Così per proprietà transitiva mi sono trovata munita di due bei cespuglioni di insalata. Ora, con questo freschetto, già parecchio freddolosa di mio, non me la sono sentita di cibarmi di cruditè e ho pensato bene di non lasciare ammuffire quel regalo inaspettato nella solitudine del frigo. Così è saltato fuori questo strudel salato.


Per la pasta:
120 g di farina 00
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
1 cucchiaio di semi di sesamo
1 bella presa di sale marino
acqua q.b. per impastare (1 bicchierino scarso)

Fare la fontana con la farina e nel mezzo versare l'olio, il sale e il sesamo. Mescolare con le dita per far assorbire bene l'olio alla farina. Aggiungere l'acqua un poco per volta e impastare per 5 minuti fino a rendere la pasta morbida e liscia. Arrotolare la pasta con la pellicola trasparente e lascire riposare in frigorifero per 1 oretta. Nel frattempo ci si dedica al ripieno...

Per il ripieno:
2 cespi di lattuga
2 acciughe sott'olio
2 cucchiai di uvetta
2 spicchi d'aglio
2 peperoncini
olio extravergine e sale

Lessare la lattuga lavata. Una volta cotta strizzarla bene. In una padella far rosolare gli spicchi d'aglio spelati e schiacciati assieme al peperoncino. Una volta dorati togliere gli spicchi e aggiungere le acciughe e la lattuga tagliuzzata. Salare, aggiungere l'uvetta lavata e saltare il tutto a fuoco vivace fino a quando si sia asciugata l'acquosità della lattuga. Spegnere e lasciar riposare una decina di minuti (Io a questo punto ho aggiunto alla verdura un paio di cucchiai di olio).

Stendere la pasta sottile (2-3 mm), spennelarla d'olio, versare la verdura che nel frattempo si è raffreddata e distribuirla sulla pasta lasciando un bordo di 3 dita libero. Arrotolare la pasta, chiudere bene le due estremità e sforacchiare con la forchetta il sopra dello strudel. Spennelare per l'ultima volta la superficie dello strudel con dell'olio e infornare a 180° per 30-35 minuti. E' buonissima anche fredda. Sarebbe perfetta per un picnic... :-))

venerdì 3 ottobre 2008

Il Concorsetto di Cavoletto!

Non lo faceva spesso. Forse per questo ogni volta era un evento. Era un evento ed era una guerra. Non è mai mancato il cibo in casa, graziealcielo. Però alcuni piatti di mia madre scatenavano tra noi figli una lotta sorda per il massimo accaparramento di scorte. Si mangiava in fretta per fare prima degli altri il bis. Ci si teneva d’occhio, insomma. Era un godimento rosicchiato dall’ansia. Siamo in tre. Ho una sorella e un fratello più grandi di me, Susanna e Stefano. Io sono la piccola, saltata fuori dopo un bel po’. Se all’epoca la mia condizione di ultima arrivata mi riservava alcuni privilegi familiari, quando si trattava delle ricette speciali i favoritismi si azzeravano. Non solo mia madre ripartiva equamente il cibo del desiderio, ma anche i miei fratelli smettevano di trattarmi come una bambolina da coccolare. Di fronte a quei piatti particolari eravamo uno contro gli altri. Ed era così solo in quelle occasioni. Per il resto, posso dire che ci si voleva già allora un gran bene. Molto diversi uno dall’altro, si stava vicini allegri, senza darci noia. Tranne quando ad esempio mia madre decideva di fare il budino al cioccolato. Si muoveva placida tra frigo, dispensa e fornelli. Pochi ingredienti, le misurazioni ad occhio, il tempo quello che ci vuole. Non ricordo di averla mai vista usare una bilancia né guardare l’orologio eppure ogni volta la meraviglia del budino si presentava uguale, fedele a se stessa. Un tot di farina, zucchero, cacao mescolati assieme a del latte, messi sul fuoco basso, gira gira gira, aggiungi la buccia di limone, gira gira gira. Ecco, ci siamo. Spegni. Un fiocchetto di burro. Ultima mescolata. Sciacqua gli stampini. Versa il budino. Aspetta un attimo che si intiepidisca. Ora in frigo a raffreddare. Mi piaceva guardare quei suoi gesti sicuri, quel suo essere a tratti svagata. Mi piaceva guardare Susanna raccogliere con l’indice i resti di crema rimasti nella pentola e succhiarsi il dito. Stefano s’infischiava della preparazione. Le ore di quei pomeriggi erano eterne. Il tempo si faceva largo, denso di attesa e desiderio. Noi cominciavamo a ronzare in cucina, a turno, a coppie, tutti insieme. Mamma, sorniona, si dedicava ai fatti suoi. Fino al suo ok il budino era intoccabile. Sembrava di essere in viaggio per le vacanze e di non arrivare mai. Tra giochi e compiti noi tre ci si distraeva con quella idea fissa che rimaneva sempre lì, buona buona. Poi, all’improvviso finalmente arrivava il momento giusto, che il budino si era rappreso e raffreddato come doveva. La cucina si riempiva della presenza di noi tre fratelli in festa. Seduti attorno al tavolo, allungabile e verdino, affondavamo i cucchiaini ognuno nella propria ciotolina. Ero felice per la consistenza mollemente compatta, per il sapore di cioccolato, per la sensazione di fresco sul palato e in gola, per il ritrovamento di un pezzetto di buccia di limone. La scorzetta dell’agrume era la sorpresa sempre cercata. Mamma la lasciava ogni volta, non so se per la fretta o se per il piacere di farcela trovare. La succhiavo per bene e il cacao si accendeva nel contrasto. A volte, al posto del cucchiaino, usavamo i biscotti Osvego per raccogliere il budino. Il sapore si arricchiva di quel morso croccante, di quel rinforzo di zucchero, degli equilibrismi da gioco. Mi divertiva rompere la resistenza della pellicina superficiale e trovare sotto quel denso morbido e scuro. Mi piaceva avere la mia coppetta e sapere che ce n’erano altre in frigorifero. Il senso di abbondanza delle prime cucchiaiate ci rendeva solidali nel godimento. La lotta si sarebbe scatenata subito dopo, in prossimità del fondo dello stampino: ci saremmo trasformati in rivali crudeli e affamati. Raramente le scorte arrivavano alla sera. Ci sedevamo per la cena satolli e pacifici. La guerra del budino appena spenta non lasciava strascichi di malumore. Ed io, per i miei fratelli, tornavo a essere la piccola.

Saranno forse vent’anni che mia madre non prepara più il budino di cioccolato. Forse ha smesso quando Susanna è andata a vivere per conto suo. Poco dopo anche Stefano si è sposato e si è trasferito fuori città. Senza loro per casa e con me già grandicella, la motivazione materna è svaporata. Quella era la merenda dedicata a noi tre, la nostra preferita. Era il budino di tutti contro tutti.

P.S. Ora mamma, interrogata sulla ricetta, mostra di ricordare con sicurezza gli ingredienti. Dosi e tempi la lasciano perplessa. Abbiamo avviato una serie di sperimentazioni.


[Con questo racconto partecipo al concorso indetto da Sigrid su: http://www.cavolettodibruxelles.it/2008/09/vi-regalo-una-storia-damore]