C'è un palazzo di fronte casa mia. E una finestra di fronte alla cucina. La sera, quando torno dal lavoro, quella finestra è illuminata, quasi sempre. E' la stanza di un ragazzino. Stiamo crescendo insieme. Quando siamo venuti a vivere qui era piccolo, aveva pochi anni. A volte lo sentivo lamentarsi. Non so dare un nome alla sua malattia. Crisi tremende seguivano a lunghi momenti di gioco, palle rimbalzare in aria, salti sul letto, silenzi tranquilli. La sua felicità mi è sempre stata a cuore. A volte vedo il padre prendersi cura dei fiori che colorano il grande terrazzo che sta lì, proprio accanto alla finestra. Calle bianche, ortensie rosa, rose rosse. Si muove con gentilezza, delicato e attento. La madre l'ho solo intravista, la voce è chiara, le parole concrete. A volte la sera, quando mi metto a preparare la cena, vedo quell'ombra che si è allungata sotto i miei occhi dietro i vetri della finestra. Rimane neanche un minuto, ferma. Poi si allontana, spesso scompare, raramente ritorna. Mi piace pensare che, guardandomi spentolare felice, si stia un po' incuriosendo di cucina.
7 commenti:
A volte mi viene la voglia di seguire le persone nella loro vita, oltre i miei occhi, oltre il mio sguardo, le persone a cui mi affeziono senza sapere neanche il loro nome, le persone che entrano nel mio mondo e che, magari senza saperlo, ne rappresentano una piccol faccia... E' bello sapere che si può portare affetto senza catalogare e senza pesare e senza sapere, semplicemente penetrando solo le sensibilità proprie e altrui. Buona giornata a voi !
@ciboulette: tutte le volte mi domando se forse non stia guardando i piccioni o le cornacchie sopra il tetto... la riflessione, a parte gli scherzi, comincia proprio dove dici tu: si sta vicini e si rimane estranei...le finestre aperte o illuminate mettono noi e la nostra vita casalinga in condivisione con chi ci sta di fronte... si diventa spettatori e protagonisti. Si può scegliere di tapparsi in casa, di tirare le tende, di chiudere le imposte... ma comunque anche senza tende è molto probabile che incontrandosi per strada non ci si presenterà nè si farà un cenno di saluto... o come in questo caso, di affezionarsi a un piccolo uomo e di non conoscerne neppure il nome...
ti auguro una bella giornata!
@marilì: infatti se non ci fosse questa possibilità, anche solo immaginativa, di lasciarsi conquistare dalla vita di altre persone il nostro quotidiano diventerebbe molto più noioso e rinsecchito... Aspetto tue immagini del Salone!!!
un caro saluto .-)
non so perchè, ma la tua storia mi ha fatto subito pensare ad alcune pagine del libro di Veronesi, Caos calmo..hai presente quando il protagonista Pietro Paladini, seduto sulla panchina del parco, interagisce azionando il telecomando della sua macchina, con un ragazzino diversamente abile, e con il suo involontario gioco alla fine riesce a regalare un sorriso al bambino...beh, spero che anche per il tuo ragazzino della finestra di fronte il destino abbia voluto essere benevolo, consentendogli un fortunato incrocio con la tua vita..
@bart: sì, ho presente bene la storia... se solo si fosse divertito un po' a guardarmi ai fornelli sarei proprio contenta... veramente una scambievole fortuna...
sogni d'oro .-)
Dalla finestra della mia cucina vedo il melograno... anche lui cresce da anni producendo *n frutti ogni autunno. Chiaramente, nulla di così poeticamente umano come quanto hai descritto tu. Semplici asperità a confronto.
@claud: un melograno... sto rileggendo il mito di Demetra e Persefone, legatissimo alla celebrazione dei misteri eleusini... il frutto del melograno ha un ruolo importante: Ade fa mangiare un chicco di quel frutto a Persefone per assicurarsi il suo ritorno... è una storia complessa che mette in gioco il legame tra madre e figlia e il taglio del cordone ombelicale, la conquista filiale di una identità adulta... non sto qui a romperti con le letture e le riflessioni del momento però... ecco... insomma... hai un Signor albero lì davanti a te :-)))
Quando il mio piccolino era un neonato qui la sveglia suonava alle 06.00 lui non dormiva un secondo di più. Mi alzavo preparavo il latte per lui e il caffè per me e poi mentro lo coccolavo guardavo fuori dalla finestra e guardavo le persone alla fermata del bus. Dopo un anno sapevo l'orario di tutti ed era bello immaginare, osservando i loro sguardi, cosa si accingevano a fare :)
Bello il tuo racconto!
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